PATRIMONIO NON CANTATO
Leggende religiose
Introduzione
di Aniello Russo
La leggenda, rielaborazione popolare di esempi ascoltati dai predicatori, perde sulla bocca dei narratori la sua funzione edificante e viene rappresentata l’interpretazione che le classi più deboli danno della vita e dei loro rapporti con l’umano e il divino (cfr. L’òmmunu e la Furtuna). A tale proposito Monsignore Nunnari, vescovo di Sant’Angelo e Nusco, presentando a Calitri nell’agosto del 2000 il mio volume di Leggende religiose, ebbe a dire:
“La fede del popolo irpino, e quindi anche di Bagnoli, è un’eco delle parole di Dio. L’irpino è un uomo semplice, e come tale vive nel mistero di Dio. La religiosità popolare manifesta una sete di Dio che solo i semplici e gli umili possono conoscere. Nel ricco patrimonio della letteratura religiosa popolare, testimoniato dal lavoro di Aniello Russo, io ho trovato la presenza della fraternità, il senso della Croce, la presenza costante di Dio. Tutto rivela un atteggiamento interiore che altrove raramente si riscontra della medesima intensità. Per questo oggi si preferisce chiamare la religiosità popolare pietà popolare, che significa devozione popolare, piuttosto che religiosità. La pietà popolare non è solo voce dello spirito, ma è anche voce umana, di una umanità profonda e spontanea.”
Contrariamente alla fiaba, il racconto esemplare resta fedele a un’unica antica fonte: lo attestano le registrazioni effettuate, a distanza di anni, dagli stessi testimoni, che si ripetono anche nei particolari, agevolati dalla forma in versi della maggior parte delle leggende; e questo conferma la loro origine di testi cantati. Molte leggende sono nate nel medioevo (cfr. Sant’Alessiu a re Ssabborghe, Santa Catarina, Cristu e na femmena malevàsa) come canti che narravano la vita dei Santi o un episodio della loro esisetenza, una sorta di biografia cantata, alla stregua degli inni sacri. Molte venivano recitate come filastrocche; e oggi tutte appaiono degradate a racconti di corto respiro.
Un tempo erano diversi i contesti a cui era legata la narrazione delle vicende dei Santi. Ma, in genere, la leggenda religiosa veniva raccontata in tutte le occasioni di lavoro di gruppo, oltre che nelle serate trascorse in casa. Riferisce un’informatrice (Giulia Ciletti, nata nel 1923, casalinga): “Appena calava il buio ci raccoglievamo attorno al focolare. Il nonno distribuiva le corone del rosario e, dopo la recita delle preghiere, si raccontava di tutto. Durante la spannocchiatura o la trebbiatura, invece, si raccontavano piuttosto racconti divertenti, fino a che qualcuna, un po’ più anziana, diceva: – Be’, ora narro io un fatterello – E prendeva a raccontare qualche storia di Santi.”
Il racconto religioso, però, richiedeva un ambiente raccolto e un pubblico meno chiassoso: trovava accoglienza nel locale della maestra di cucito e di ricamo (la masta), anche perché prediligeva un pubblico femminile; in questo caso le fruitrici erano non più di tre o quattro ragazze che apprendevano il mestiere o preparavano il corredo con le proprie mani. Pure qui la narrazione veniva dopo la recita del rosario (cinque poste tutti giorni, quindici il sabato). C’erano pure le occasioni canoniche, corrispondenti alle festività del calendario liturgico.
Altro contesto era il pellegrinaggio, che offriva l’occasione di rinnovare la tradizione narrativa lungo il cammino, ma assumeva anche la funzione di insegnamento per i piccoli che di quelle leggende trovavano la rappresentazione figurativa sulle grosse tavole appese nei saloni dei Santuari, che riproducevano i miracoli (cfr. San Cilardu purtunàru) e nelle immagini degli ex voto.
Alcuni narratori (Giuseppe Chieffo, Maria Michela Nigro) rivelano una partecipazione viva, tale che nel raccontare tradiscono sentimenti ed emozioni; vi sono, però, anche testimoni (Domenico Marrandino, Aniello Nigro) che raccontano in maniera scanzonata; alcuni informatori, come Giulia Ciletti, mostrano di possedere una consumata tecnica narrativa, fatta di gestualità e di tonalità vocaliche, che variano con le situazioni della vicenda.
La fantasia del popolo non solo ha creato leggende di Santi, ma anche storie che hanno come protagonista il diavolo. La tradizione orale individua una sola personalità del mondo demoniaco: Capucìfuru, Lucifero. Per scongiurare la sua presenza basta l’invocazione all’Immacolata, elevata a protettrice della comunità bagnolese (cfr. Cummu la Maronna sarva n’anema ra lu riàvulu) oppure il possesso di uno scapolare; con uno di questi accorgimenti subito il demonio squaglia, scréa (si dilegua all’istante) tra rumori di catene e lampi di fuoco, che lasciano poi nel luogo una nauseante puzza di zolfo.
Indice degli argomenti
- Titolo delle leggende religiose di Bagnoli Irpino
- L’òmmunu e la Furtuna (L’uomo e la Fortuna) *
- L’èreva valeriana (L’erba valeriana)
- Lu pumbunàru (Il lupo mannaro)
- Sant’Aniellu (S. Aniello)
- Sant’Alessiu a re Ssabborghe (S. Alessio al Santo Sepolcro)
- Lu cuntu r’ lu zappatoru chi abbavu la morte (Il racconto del contadino che ingannò la morte)
- Gesù e lu zuoppu (Gesù e lo zoppo)
- Cristu e na fémmena malevàsa (Cristo e una donna malvagia)
- Gesucristu e li rui pucuràri (Gesù Cristo e i due pastori)
- Santu Pietru e re prète (S. Pietro e le pietre)
- Sant’Antoniu e lu patru (S. Antonio e il padre)
- Santa Ginuvèffa (S. Genoveffa)
- Santa Catarina (S. Caterina)
- Santa Rita (S. Rita)
- San Cilardu purtunàru (S. Gerardo, frate portinaio) *
- Cummu la Maronna sarva n’anema ra lu riàvulu (L’Immacolata strappa un’anima al diavolo)
- San Nicola e l’anieddu (L’anello di S. Nicola) *
- San Giorgiu e lu dràhu (S. Giorgio e il drago)
- Lu figliu r’ Capucìfuru (Il figlio di Lucifero)
- Lu jucatoru e la Maronna (Il giocatore di carte e la Madonna)