PRATICHE MAGICHE
Riti propiziatori
Ritualità dell’infanzia e della fanciullezza
Infanzia
Nel periodo dell’infanzia esistevano tre momenti particolari di crescita, che erano segnati da altrettante operazioni di magia rituale, perché ritenuti momenti cruciali nello sviluppo del bambino: la dentizione, i primi passi, il primo taglio delle unghie e dei capelli.
La dentizione
L’uscita del primo dente da latte era un momento rituale nella crescita del bambino, accompagnato da pratiche magiche tendenti a neutralizzare le forze malefiche. Usanza comune in Irpinia era l’offerta di un cornicino di osso o d’oro, come talismano, al piccolo a cui spuntava il primo dentino. Varie fonti ricordano, come gesto rituale, l’offerta di una moneta, posta nella manina del piccolo, allo spuntare del primo dente da latte: se lui la stringeva nel pugno era un presagio di buona sorte.
Il dente, dunque, è strettamente legato alla fortuna del piccolo: assume l’indizio propiziatorio del benessere, come pure nel caso di caduta dei denti decidui. All’opposto viene interpretata la caduta di un dente perenne: Caruta r’ rienti, morte r’ parienti. Pure il gesto di gettare un dente da latte fuori della portata degli altri nasconde il timore che un nemico se ne impossessi e possa esercitare un maleficio su di lui. Quando un bambino perdeva un dente da latte, lo gettava su un tetto, mentre recitava la filastrocca propiziatoria:
Tìtturu, tìtturu, tècchete lu stuortu
e ddamme lu rerìttu:
e ddammìllu fortu
ca adda rompe na porta,
e ddammìllu sanu,
ca adda rompe re ppanu!
La pratica si configura come rito iniziatico e liberava dal rischio di una malattia o dal timore che i denti non rispuntassero. Presso tutte le comunità irpine si raccomandava l’occultamento del dente deciduo; alcuni lo introdicevano in una crepa del muro di casa, altri lo ponevano in una pignatta che sotterravano in un posto lontano dalla portata di chiunque. Perché, se per un caso malaugurato l’avesse ingoiato un cane, al piccolo sarebbe spuntato un dente perenne simile alla zanna dell’animale (Montoro I., A. Crudele).
I primi passi
A sei sette mesi i bambini utilizzavano il girello di legno (lu carretiéddu). Ve n’erano di vari tipi; i più comuni erano quelli senza ruote, che servivano solo per tenerli fermi, e quelli con le rotelline, che consentivano di correre avanti e indietro nella stanza. I girelli erano utilissimi, perché lasciavano le mamme libere di poter sbrigare le faccende, senza perdere di vista il piccolo. Ma i bambini non davano i primi passi da soli, se non erano giunti a un anno e oltre di età. Il momento più propizio per lasciar camminare i piccoli da soli pare che fosse il sabato Santo, quando si scioglievano le campane per annunziare la resurrezione di Cristo. Il rito agiva in virtù del principio mimetico: come si scioglievano le campane, così si scioglievano le gambe dei piccoli nel camminare. Un’informatrice di Bagnoli, G. Ciletti, ricorda che quando lei era ragazza (intorno al 1930), questo rito propiziatorio si praticava nella Chiesa Madre il sabato Santo, alle ore undici:
“Già prima che le campane suonassero a gloria, la chiesa si riempiva di madri che portavano in braccio le loro creature di otto o nove mesi: chi piangeva, chi strillava, chi si agitava. Allo scoccare delle undici, il sagrestano girava la raganella e dava il segnale. Allora il campanaro scioglieva la campana e principiava a suonarla. Al primo tocco le mamme ponevano a terra i loro piccoli dicendo: – La grolia sfila e re criature cammìnene (Come le campane suonano a gloria, così i bambini prendano a camminare) – . E li lasciavano. E allora chi camminava, chi barcollava, chi cadeva… tutto questo in mezzo a una confusione indescrivibile.”
In casa, quasi tutti avevano il focolare protetto da un piccolo cancello di ferro e il braciere coperto da una cupola di legno che serviva pure per mettere i pannolini bagnati ad asciugare. Ma con tutte queste precauzioni e nonostante la protezione soprannaturale, compresa quella di un Angelo che avrebbe dovuto condurli per mano, i bambini nei primi tentativi di deambulazione prendevano ruzzoloni e inciampavano negli scalini, subendo varie contusioni. Comunque, cadendo e sbucciandosi le ginocchia, imparavano a essere più cauti.
Il primo taglio delle unghie e di capelli.
Il rituale del primo taglio delle unghie è documentato dalla testimonianza di una informatrice (E. Gatta): anzitutto l’operazione va fatta dalla comare di battesimo; e non prima del terzo mese di vita del bambino, perché altrimente rischierebbe di perdere la vista; il taglio viene eseguito di lunedì, che è il primo giorno della settimana (capu summàna); il.che conferisce sacralità all’evento. Confermava un proverbio: Chi taglia r’ogne r’ luni, li pàssene tutti li rulùri (A chi si taglia le unghie di lunedì gli passano tutti i dolori). La comare gli faceva stringere nella mano sinistra la monetina di un soldo (che per la sua forma rotonda potrebbe simboleggiare la luna), mentre gli tagliava le unghie della mano destra; poi passava la monetina nella mano destra, mentre gli tagliava le unghie della mano sinistra. E intanto recitava la filastrocca propiziatoria:
Luna, luna nova,
nun t’aggiu vista ancora,
e mò ca t’aggiu vista,
ringraziu a Gesù Cristu!
Si supponeva che dei pericoli accompagnassero l’operazione del taglio dei capelli. Allora il primo taglio dei capelli di un bambino veniva compiuto in periodo di luna crescente, che era propizia alle operazioni magiche. Il taglio andava fatto precedere da segni di croce tracciati col pollice su tre punti della testa. Se si effettuava il taglio con la luna calante, si rischiava di non veder ricrescere i capelli. Questi riti ricordano la cerimonia religiosa della depositio barbae dell’epoca romana, celebrata al primo taglio della barba di un adolescente.
Le volte successive, invece, il taglio doveva coincidere con il primo venerdì di marzo, che è un tempus sacrum: da questo giorno cominciava la comparsa del lupo mannaro e delle janàre. La data rimanda a epoca remota, a quando l’anno prendeva inizio con il mese di marzo. In virtù del principio di similarità, il taglio dei capelli in questa occasione, all’inizio dell’anno, deponeva positivamente al fine di una crescita fitta e veloce della chioma: come sfilano i giorni dell’anno nuovo e si allungano le giornate, così ricresceranno e si allungheranno i capelli. C’era anche questa credenza, comune in Irpinia, e cioè che il taglio effettuato in questo giorno proteggesse i piccoli dal mal di testa.
Fanciullezza
Dai primi anni della fanciullezza i ragazzi vivevano in una dimensione magica. Elementi fortemente connotati di magia sono riscontrabili anche nella narrativa fiabistica di trasmissione orale, di cui avidamente si nutriva il ragazzo di un tempo. A due o tre anni i piccoli cominciavano a stare anche con gli altri bambini, costretti dall’arrivo di un fratellino a cui la mamma doveva riservare maggiore cura. Allora questi, che erano grandi, si raccoglievano attorno alla nonna o a una zia e succhiavano dalle sue labbra le storie incantate (li cunti), che parlavano di piccoli personaggi come loro (Fasulillo, Vungulicchio ecc.), proiettati nel mondo fascinoso dell’avventura, dove risultavano sempre vincenti, a riscatto delle rinunzie e delle sconfitte del mondo reale.
Le filastrocche propiziatorie nei giochi
Questo mondo fatato, presente anche nei giochi che in gruppo si praticavano nelle piazzette o nei cortili o sulle aie, si manifestava nella gestualità ludica e nelle filastrocche di quella stupenda età che è la fanciullezza. Mentre i genitori erano indaffarati nei loro lavori, i maschietti e le femminucce giocavano insieme. I piccoli si sedevano in tondo e allungavano i piedi, mentre il più grande recitava la filastrocca facendo nello stesso tempo la conta. Fortunato il bimbo che veniva indicato dalla sorte: poteva incrociare i piedi e tirarsi fuori dal gioco allontanandosi saltellando su un solo piede. La posizione incrociata dei piedi nasconde un antico gesto di esorcizzazione, qui cristianizzato anche dall’invocazione a San Michele, che come protettore delle anime rimanda alla divinità pagana di Mercurio:
Pèru pèru, San Michelu,
nott’e gghiuornu se ne vène:
se ne vène cu l’ànema mia,
àza lu pèru, Marònna mia!
San Michele guida nell’aldilà le anime dei morti, che marciano saltellando su una gamba sola, a testimoniare la perdita della consistenza del corpo.
I giochi comuni a maschi e femmine
Tanti pure i giochi comuni, che si avvalevano di materiale fornito dalla natura. In estate, i campi erano rosseggianti di papaveri, e allora i ragazzi, maschi e femmine, ne staccavano un petalo per volta, lo ponevano tra l’indice e il pollice chiusi a cerchio e battevano sopra con l’altra mano per provocare un piccolo botto. Ma solo la ragazza in cuor suo ne traeva gli auspici per le sue nozze: se il botto era forte, il suo matrimonio avrebbe fatto colpo sulla comunità.
Le ricorrenze dei compleanni e degli onomastici nei tempi andati non erano così solennemente festeggiate come ai giorni nostri. Solo in occasione dell’onomastico tra ragazzi si usava per gioco tirare le orecchie del festeggiato, in segno di augurio. Il gesto rimanda all’atto rituale con cui i romani antichi usavano esprimere la loro decisione di affrancamento (manumissio) di uno schiavo.
Tra i giochi praticati in questa età ve ne erano alcuni che non apparivano del tutto innocenti. Un’appendice del gioco Il dottore e l’ammalata era Il gioco del pescatore, di solito praticato scherzosamente da un grande su un piccolo, ma imitato talora dai ragazzi, non senza una punta di malizia. Una ragazza misurava il corpo di un maschietto steso a terra col palmo della sua mano, partendo dalla fronte: il pescatore (il palmo misurava dalla fronte al mento), va al mare (dal mento al petto), getta la rete (dal petto all’ombelico) e acchiappa questo pesce (dall’ombelico all’inguine). Nulla di scandaloso, perché la scoperta del sesso era un fatto naturale, senza le distorsioni del mondo d’oggi, vissuta col riso, che accompagnava già nel mondo greco ogni manifestazione erotica.